“La cosa importante non è tanto che ad ogni bambino debba essere insegnato, quanto che ad ogni bambino sia dato il desiderio di imparare” (J. Lubbock)
Purtroppo, non è vero per tutti i bambini.
Sono molti, infatti, quei fanciulli che vivono l’andare a scuola e l’apprendere come un ostacolo insormontabile, un’abilità in cui non riescono a cimentarsi se non con estrema difficoltà, ricavandone quindi un incommensurabile senso di inadeguatezza. Il pensiero che li accompagna è: “Perché io non riesco laddove i miei compagni eccellono? Evidentemente non sono abbastanza intelligente come lo sono loro”.
Il mondo degli adulti tende poi a suffragare questo pensiero, confermandolo con frasi del tipo: sei pigro, sei svogliato, non ti applichi abbastanza, non stai attento quando spiega la maestra. Oppure: suo figlio è intelligente, potrebbe fare di più, ma non mostra interesse per la materia. Come capita spesso di ascoltare un certo tipo di conversazioni, succede altrettanto frequentemente che genitori e insegnanti attenti intuiscano come dietro le difficoltà del figlio/alunno si nasconda un disagio ben più complesso, la cui origine va ricercata in un disturbo dell’apprendimento.
Secondo il DSM-5 i disturbi specifici dell’apprendimento, che definiremo con l’acronimo DSA, sono caratterizzati dalla persistente difficoltà di apprendimento delle abilità scolastiche chiave, per un periodo di almeno sei mesi, quali lettura lenta e faticosa, difficoltà nell’espressione scritta o nel concetto di numero, calcolo e ragionamento matematico. Le abilità scolastiche sono al di sotto di quelle attese per età e causano interferenza con il rendimento scolastico.
Per poter fare una diagnosi di DSA non devono presentarsi deficit cognitivi e il QI deve essere normale. Questo significa che i bambini affetti da DSA hanno un livello intellettivo assolutamente nella norma e le loro difficoltà sono peculiari del solo apprendimento . I DSA si dividono in:
DISLESSIA: compromissione della lettura, nell’accuratezza della lettura, velocità e scioltezza della lettura, comprensione del testo
DISGRAFIA: compromissione nell’espressione scritta, nell’accuratezza dello spelling, nella grammatica e punteggiatura
DISCALCULIA: compromissione del calcolo, del concetto di numero, nella memorizzazione di fatti aritmetici, del calcolo accurato e fluente, del ragionamento matematico corretto
In Italia, la percentuale dei bambini che presentano un DSA è del 3-4% e sovente questi disturbi presentano una comorbilità con disturbi emotivi e comportamentali in una percentuale del 25/30%. Le categorie diagnostiche riscontrate che di norma si accompagnano ai DSA sono: deficit di attenzione e iperattività, disturbo oppositivo-provocatorio, disturbo della condotta, disturbo depressivo e disturbo d’ansia.
La prognosi è favorevole soprattutto se la diagnosi è tempestiva e l’intervento multidisciplinare repentino. C’è un’osservazione importante da fare ossia che, di solito, ad accorgersi per primi delle difficoltà del bambino sono gli insegnanti, non solo in qualità di principali deputati all’acquisizione delle abilità in cui vengono mostrate le difficoltà sopra riportate, ma perché in Italia la classe docente è tra le più formate e sensibilizzate al tema. E’ possibile, difatti, sin dalla scuola materna notare quei piccoli segnali che fanno ipotizzare un DSA e che possono andare dalla criticità nel fare un puzzle, piuttosto che uno sforzo eccessivo nel tenere in mano dei pennelli o una matita. Essere attente a cogliere queste asperità, fa delle insegnanti le prime sentinelle capaci di evidenziare il disagio, permettendo una diagnosi tempestiva e un intervento mirato.
A volte il corpo docente si scontra con la reticenza e la chiusura dei genitori , convinti che se il loro bambino presenta difficoltà scolastiche è per pigrizia, svogliatezza o incapacità delle maestre che non lo sanno prendere. Un atteggiamento di rifiuto diffuso e dovuto al fatto che molto spesso si crede che un disturbo dell’apprendimento sia causato da un deficit intellettivo per cui il genitore si pone subito su un piano difensivo rifiutando di pensare che il proprio figlio non abbia un QI nella norma. Invece il DSA nulla a che vedere con deficit intellettivi e cognitivi (Einstein era dislessico, per esempio) e, scoperto questo, generalmente i genitori si tranquillizzano e sono meglio disposti ad accettare di sottoporre il figlio ad una batteria di test in grado di stabilire se effettivamente persista o meno il DSA ipotizzato.
Diagnosticato il disturbo e iniziato un intervento multidisciplinare con operatori specializzati quali logopedista, tutor DSA e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, si nota come il percorso scolastico dei ragazzi, costellato da insuccessi, difficoltà e criticità varie, riprenda e subisca un’importante ascesa facendo sì che il ragazzo riacquisti un senso di adeguatezza fino a quel momento perso.
Infatti, se il soggetto sente che le sue difficoltà non vengono riconosciute perché attribuite dal mondo degli adulti a pigrizia, scarso impegno, oppositività o non interesse, per proteggersi evita di fare i compiti e in classe mette in atto comportamenti disturbanti con conseguente degenerazione del rapporto con il mondo adulto. Parte integrante e imprescindibile del piano di intervento multidisciplinare è quello della psicoterapia, che si occupa dell’aspetto.
Importante nel percorso psicoterapico è poi dare forma alla rabbia come emozione che emerge in questi ragazzi e che ha una sua coerenza in quanto legata sia al senso di inadeguatezza che essi provano proprio per le loro difficoltà, in particolare nel confronto con i pari, sia all’essere stati sempre “accusati” di essere indolenti. Quindi, una rabbia più internalizzata legata all’immagine di se non all’altezza e una più esternalizzata, legata al giudizio negativo dell’adulto. Riuscire a dare coerenza a questi vissuti riuscendo a canalizzare la rabbia in contesti più costruttivi permette ai ragazzi di riacquistare un senso di se più adeguato e un rapporto con gli adulti meno oppositivo.