Soprattutto se si è bionde e formose in visita ad alcuni paesini rurari della Cina.
LaiYang, Jinzhou, Qingdao, fuori dalle rotte turistiche di Pechino c’è tutto un mondo in cui gli occidentali sono solo “occhi a palla” da spennare.
Atterro a Pechino in una calda giornata d’agosto, l’umidità e il grigiore dello smog la fanno da padrone. L’ambiente è surreale, grattacieli immensi fanno da sfondo agli hutong, le classiche case ad un solo piano dei vecchi quartieri popolari dove nei cortili interni si possono ancora scorgere biciclette malandate.
Pechino ha l’aria cosmopolita delle grandi capitali, il traffico sulle immense strade è copioso ma scorrevole, i fast food convivono armoniosamente accanto alle vecchie erboristerie.
Imperdibile la visita a piazza Tien An Men e alla Città Proibita, la fila per il biglietto d’ingresso è ordinata e la richiesta in inglese viene subito compresa.
Gioisco al pensiero che riso alla cantonese e qualche documentario possano avermi gia “vaccinata” per questa terra…fatale errore!
C’è un’altra Cina, un altro universo che convive accanto alle luci al neon ed ai palazzi immensi, sono le città più piccole (3-4 milioni di abitanti) quelle senza attrattive turistiche dove l’attrattiva diventa il turista stesso, quegli occhi a palla e i capelli chiari che vengono sfiorati con soggezione e curiosità dagli abitanti.
All’inizio mi sento una star, tutti che si fermano per guardarmi, per scattare foto e alcuni più audaci chiedono anche l’autografo.
Poi arriva la fame e mi accorgo che nessuno, neppure negli alberghi più costosi parla inglese, cerco di farmi capire a gesti che hanno l’unico effetto è quello di provocare l’ilarità delle persone.
La star si è trasformata in scimmia da circo.
Ordino a caso e mi ritrovo davanti un bel pezzo di fegato crudo, sbircio nei tavoli attigui alla ricerca di un piatto da indicare al cameriere, ma non c’è nulla che ricordi anche vagamente il cibo del ristorante cinese accanto casa, con la nostalgia per gli involtini primavera mi dirigo verso un supermercato.
Entro, ma al posto dei biscotti cerco subito una maschera per l’ossigeno, metà supermercato è appestato da un odore stagnante proveniente dal vascone del pesce vivo, l’altra metà da un bel bisognino solido di un bambino vestito solo con un triangolino di stoffa.
E si, i bambini tradizionalmente non portano pannolini e fanno i loro santi bisogni dove capita.
Prendo un po’ di frutta sperando che non sia stata concimata di recente, la fila per la commessa che pesa gli ortaggi è simile a quella delle poste nell’ora di punta (senza eliminacode), arrivato il mio turno noto con stupore che la commessa pesa ciò che le viene porto dalle altre cinesi in fila dietro di me, dopo la terza persona ed una difficile battaglia interiore tra io e super-io, eseguo un tiro alla Michael Jordan centrando la bilancia invece della faccia della commessa che sprezzante pesa le 3 mele oramai mature.
Sedendomi stancamente nella poltrona della mia camera in hotel col sacchetto delle mele ancora stretto in pugno, mi accorgo di non esser sola; lucidi animaletti neri scalano le tende e si rintanano timorosi in anfratti poco visibili, eppure è l’hotel più lussuoso, mi convinco che essendo agosto le 3 stelle si sono trasformate in comete.
Il pensiero che questo sia solo il primo di 21 giorni mi riempie di emozioni contrastanti, rimpiango il mondo cosmopolita, moderno e morbosamente occidentale delle grandi metropoli cinesi che sono in estrema contrapposizione a queste città tradizionali dove una mentalità nazionalista molto radicata fa apparire l’occidentale solo come fonte di guadagno. Come sopravvivere? Munitevi di una buona dose di ilarità.
Cinque consigli per chi visita le città periferiche
Ma tutto questo è solo uno piccolo scorcio delle differenze culturali che rendono la Cina cosi unica e differente dall’occidente.